Un giorno da piccola maestra
Il 12 maggio, a Città di Castello, Paola Rondini ha accompagnato gli alunni dell’IC Alberto Burri di Trestina alla scoperta dei viaggi di Gulliver di Jonathan Swift. Leggiamo insieme il suo racconto della mattina trascorsa con Gulliver e con i ragazzi.
La scuola elementare San Filippo, la stessa dove hanno studiato mio nonno, mio padre, mio fratello, la stessa dove ho studiato anche io, si raggiunge attraverso i vicoli della città vecchia. Puoi scendere dalla piazza del Duomo e attraversare un dedalo di viuzze impregnate da un secolare odore di ragù e di gerani, oppure approdarvi costeggiando le mura, quelle che, quando da piccola abitavo in centro, rappresentavano il limite invalicabile tra il mondo conosciuto e l’ignoto. “Al di là, gli Unni!” diceva nonna per terrorizzare noi bambini. Non tornavo alla scuola della mia infanzia dall’esame di quinta e ora non esiste nemmeno più l‘esame di quinta. Mentre rabbrividisco al pensiero di quale oceano di tempo, bracciata dopo bracciata, abbia attraversato, sento che refoli di ricordi si rincorrono scomposti e le foto dell’ultimo giorno dell’anno scolastico alla San Filippo mi carosellano nella mente.
Mio nonno Vitaliano è un ragazzone alto dai tratti vagamente nordici. Forse per via dell’altezza o forse per una certa aria dimessa, è quello tutto pigiato in terza fila, le spalle alzate come un condor intimorito. Guarda il fotografo con l’espressione triste di uno scozzese senza cornamusa e senza fiumi per pescare, il grembiule nero gli sta sfuggito. Il maestro, un simil Vittorio de Sica coi capelli brillantati all’indietro e il doppio petto stirato di fresco, è al centro di quella numerosa strampalata scolaresca pre-bellica e allarga le braccia sopra le spalle dei bambini più eleganti, quelli buoni, quelli educati, quelli con le scarpe. Trent’anni dopo, nella stessa identica location, mio padre ha le guance gonfie e rosse di chi si è da poco azzuffato con qualcuno. Col fiocco tutto storto, continua a guardare, sudaticcio e provocatore, verso un colosso dal grembiule impolverato dall’altra parte della fila. Ovviamente anche lui, come mio nonno, non è tra i favoriti dell’insegnante che indica al fotografo gli studenti migliori, le famiglie migliori, gli eredi, dal futuro prestabilito, che guideranno questa cittadina di provincia, appena segnata nelle mappe.
Quando arriva il turno mio, ecco il medesimo terrazzino, la medesima ringhiera e, incredibilmente, la stessa finestra che chiude male,ma tutto è psichedelicamente sparato negli ottimistici colori del boom economico, del benessere e progresso illimitato. La maestra, coi capelli cotonati e l’ombretto verde perlato, mostra al fotografo i suoi ragazzi moderni, quelli che vedranno Marte, l’Eurofestival, il duemila in tutine d’argento! Assalita da questi ricordi a tradimento, intimorita dalla montagna di tempo che mi separa dai bambini che incontrerò, varco la soglia della mia vecchia scuola elementare in un venerdì mattina da piccola maestra.
“Chi sei?” chiede un ragazzino di origine cinese appena metto piede in classe. Spiego, mostrando a tutti il mio libro de I viaggi di Gulliver (proprio quello di quando avevo la loro età), che io sono lì per leggere. “Vorrei farvi venir voglia di leggere – dico subito per mettere in chiaro il mio obiettivo, coi bambini non si bluffa – perché leggere è come entrare nel cinema che sta dentro la nostra testa, è come dirigere un film con gli attori che vogliamo, coi costumi che ci piacciono di più, come ci pare, quando ci pare… insomma figo no?” Trenta mini esseri, super concentrati di energia, si girano di colpo verso la mia persona, appoggiata malamente alla cattedra: qualcuno annuisce, qualcuno prende la mano di un compagno, c’è chi sbuffa verso la finestra e sogna giochi all’aperto. Io mi faccio coraggio, sorrido e li guardo, uno a uno: incrocio pelli diverse ma tutte ugualmente lisce e gonfie di futuro, vedo occhi che esprimono tutte le emozioni, occhi periscopici. So che davanti a me ho onde anomale di fantasia pronte a sommergermi e fare polpetta della mia povera immaginazione, sento il potere compresso, ancora inespresso di chi rivolterà il mondo, scardinerà le regole, incendierà, salverà. Mi sento impreparata, indecisa.
Le maestre e i maestri sorridono e, alzando le spalle, mi esprimono il loro stesso quotidiano timore a trattare con tale dinamite. Li capisco di colpo e di colpo li ammiro immensamente: sono artificieri, pompieri, archeologi, inventori, osservano al microscopio e al telescopio, si fanno esploratori, giudici, giocolieri, cercano gemme come minatori e riportano tutti a casa come le guide alpine. Sospiro. “Tranquilla maestra li tengo a bada io quelli agitati” sussurra il boss della quarta per darmi coraggio. Ringrazio il tipino con un cinque e prendo un bel respiro. “Quelle che ascolterete sono le incredibili avventure di Lemuel Gulliver, dottore, viaggiatore, osservatore del mondo…”
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