Con Alessandro: un viaggio sulla frontiera
Molte delle richieste ricevute negli ultimi mesi esprimono un desiderio vivo e sincero di portare nelle scuole un racconto ispirato alla figura di Alessandro Leogrande. La crisi di valori del periodo che viviamo rende d’altronde sempre più importante coinvolgere ragazze e ragazzi in una discussione sui temi più cari ad Alessandro, a partire ad esempio da una riflessione seria e attenta sul fenomeno delle migrazioni.
Nel 2018 Piccoli Maestri, in collaborazione con altri partner virtuosi, ha investito molte energie nel progetto La frontiera, un tavolo migrante a sua volta, pronto a spostarsi da Roma a Milano, a Torino, alla ricerca di parole e immagini nuove che aiutassero a raccontare, a capire. Ci piace l’idea di portare avanti anche nel 2019 una raccolta di ricordi e parole che restituiscano la figura di Alessandro, scrittore, giornalista, attento osservatore di un sud dal respiro universale, troppo spesso dimenticato.
Ci piace iniziare questa raccolta di ricordi e parole con un articolo di Nadia Terranova, apparso su Robinson a un anno dalla scomparsa di Alessandro. Ringraziamo Repubblica e Nadia, ovviamente, per la condivisione. Ai docenti in ascolto e a chiunque sia interessato a conoscere meglio Leogrande, auguriamo buon Natale, buon anno. Buone letture.
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Nel settembre 2017, poco prima della morte improvvisa del suo autore a quarant’anni avvenuta il 26 novembre, un testo di Alessandro Leogrande andò in scena al Teatro Argentina di Roma nell’ambito di una rappresentazione plurale intitolata “Ritratto di una nazione”. In Pane all’aquasale tre storie si incrociavano, quella del sindacalista Giuseppe Di Vittorio a Cerignola nel 1904, quella di un bracciante polacco nella provincia di Foggia durante gli anni zero (ripresa dal capolavoro di Leogrande, Uomini e caporali, Feltrinelli) e quella, contemporanea, di un operaio dell’Ilva. Era un testo breve, scritto su commissione, incastonato in un affresco in cui a diversi scrittori si chiedeva di raccontare una regione ciascuno. Giustamente a Leogrande era stata assegnata la Puglia, dove da più di vent’anni non risiedeva pur mantenendo la residenza, simbolo di un legame non solo affettivo ma pienamente intellettuale, perché non basta essere originari di un luogo per saperlo raccontare, ma se lo si sceglie allora la casualità di nascita può diventare opportunità e restituzione a un territorio del suo immaginario e della sua storia.
Con gli editoriali, gli interventi, i reportage letterari densi di opinioni solide e argomentate, mai grezze e mai banalizzanti, con il lavoro politico e pedagogico, Alessandro Leogrande, da Roma o da qualsiasi altro luogo in cui si trovasse per seguire i suoi scritti, continuava a dialogare con la regione dove gli era capitato di nascere e che aveva deciso di scegliere. In Pane all’acquasale, come nei testi che compongono Dalle macerie (il suo libro postumo – quest’ultima parola suona ancora penosa, difficile sovrapporla a uno scrittore la cui assenza è tanto pesante – curato dal giovane studioso Salvatore Romeo, tarantino come lui, e prefato da Goffredo Fofi, con cui Leogrande ha lavorato per vent’anni) il sud non è un puro dato geografico ma una parola prismatica che significa innanzitutto sguardo sul mondo.
Non esiste il localistico nel pensiero di Leogrande, il suo meridionalismo salveminiano ha un respiro universale, il “sud” non è solo la Puglia ma il territorio mobile degli oppressi e dei dimenticati, il sud è l’Albania (nel 2011 Il naufragio, sulla motovedetta Kater i Rades speronata da una corvetta della marina militare italiana, gli valse i premi Volponi e Kapuscinski e grazie al fatto di avere per primo raccontato quella storia oggi a Tirana una strada porta il suo nome), il sud è l’Argentina, che aveva visitato nella primavera 2017 prendendo appunti per un libro sui desaparecidos e su torturati e torturatori. Il sud è la storia del curdo Shorsh nel bellissimo La frontiera (sempre pubblicato da Feltrinelli), è lo spirito di Carlo Pisacane rievocato nella curatela e nella prefazione a L’altro Risorgimento (Edizioni dell’Asino). Il sud di Leogrande è ogni luogo, ogni persona su cui ci sia bisogno di rivolgere lo sguardo.
Alessandro Leogrande scriveva molto e si muoveva altrettanto, in dialogo con le persone e con i luoghi: se camminavi con lui a Taranto la città vecchia si animava sotto le sue descrizioni, perfino di una bancarella di venditori di frutti di mare poteva raccontarti la storia e il significato urbano, mentre il centro di Roma si illuminava delle sue ossessioni (le strade significative della vicenda umana di Aldo Moro, che come lui aveva studiato a Taranto al liceo Archita; la chiesa di San Luigi dei francesi con Il martirio di san Matteo di Caravaggio la cui descrizione aveva trasformato in metafora del dolore e della violenza). Insieme a Elena Stancanelli, Leogrande aveva ideato un progetto di discussione sulle migrazioni intorno a un tavolo migrante anch’esso, da spostare nello spazio e nel tempo (il progetto è poi stato chiamato “La frontiera” in suo onore). Studiava: in un mondo in cui si smania per affermarsi con sentenze e aforismi prima ancora di avere circoscritto il tema, lui si esprimeva solo dopo aver completato una sua personale bibliografia, e tra le sue parole non ci sono frasi a effetto in stile Twitter (che usava solo per lavoro, con pudore e professionalità).
Alessandro Leogrande era una persona divertente, piena di senso dell’umorismo, si infervorava parecchio e pur essendo consapevole del proprio valore non era mai del tutto soddisfatto, neppure di sé. Quando fu rappresentato Pane all’acquasale, non era convinto di ciò che aveva scritto e mi chiese di accompagnarlo per vedere una seconda volta la rappresentazione, pochi giorni dopo la prima. Voleva mettere sotto processo il testo per riscriverlo al meglio e mi chiese di fare altrettanto, io obiettai che non ce n’era bisogno. Lo rivedemmo e ne parlammo a lungo. Aveva ragione lui: tutto ciò che si scrive è sempre perfettibile, avere pace rispetto a sé è il contrario di ciò che dovrebbe muovere un intellettuale. Però, solo in quel caso, avevo più ragione io: non c’era nulla da migliorare e anche quel pezzo, fra i tanti suoi, resta e resterà, insieme a tutto ciò che di inestimabile ci ha lasciato.