Sui fatti di Macerata
Nei giorni scorsi le ragazze e i ragazzi della scuola media di Tor Bella Monaca hanno deciso di elaborare un testo collettivo sui fatti di Macerata. Come spiega Emiliano Sbaraglia, docente e responsabile di questo progetto, il lavoro si è rivelato utile non soltanto come esercizio grammaticale e sintattico, ma anche per affrontare insieme un argomento complesso e delicato, legato mai come in questo periodo ai temi più generali dell’educazione alla cittadinanza.
La scuola che accoglie questi ragazzi si trova in una zona tra le più disagiate della periferia romana, dove più forte che in altri luoghi della città si sente e si vive il fenomeno dell’emigrazione, e nella quale il processo d’integrazione presenta inevitabili (o forse evitabili) difficoltà. La discussione è stata molto animata, con posizioni in alcuni casi anche piuttosto forti: d’altra parte, l’esempio mostrato da politica e istituzioni attraverso alcune dichiarazioni pubbliche non è certo stato di aiuto. Alla fine, però, la classe è riuscita ad accordarsi su un testo comune e condiviso. Potrebbe essere una buona indicazione anche per il mondo degli adulti. Lo scritto che segue (già pubblicato dal blog Scuola di vita del Corriere.it, che ringraziamo per la condivisione) è il frutto del lavoro della III B.
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La scorsa settimana un uomo di 28 anni è stato protagonista di una sparatoria a Macerata contro un gruppo di persone di origine africana. Dopo l’arresto, il colpevole ha dichiarato che voleva vendicare l’assassinio della ragazza italiana, di nome Pamela, uccisa, fatta a pezzi, e ritrovata dentro una valigia, perché si pensa che il suo omicida sia un nigeriano. I ragazzi feriti sono stati sei, tutti di colore, e stavano camminando tranquillamente per la strada.
Secondo noi la reazione di questa persona non è giustificabile, perché anche se sono dello stesso Paese, o della stessa carnagione, non sono loro i responsabili di quanto accaduto alla ragazza. Inoltre, quando la polizia è entrata nella sua abitazione, ha trovato dei busti di Mussolini, e dei libri che parlano di Hitler. In più sembra che abbia anche dei tatuaggi, di cui uno sulla testa, con gli stessi simboli. Quello che più non capiamo, è come mai un ragazzo di nemmeno trent’anni ancora pensi a dittatori come Hitler e Mussolini, che sono vissuti quasi un secolo fa. E poi, se proprio doveva prendersela con qualcuno, poteva aspettare di sapere se la persona colpevole della morte di Pamela fosse proprio quel nigeriano, e vendicarsi su di lui. Forse non è giusto, ma la maggioranza di noi la pensa così.
In ogni caso, non crediamo che con la violenza sia possibile risolvere qualcosa, e le tante guerre che ci sono state e ci sono ancora in giro per il mondo lo dimostrano. Certo, questa è stata una situazione particolare, che ci ha colpiti molto, e in classe ne abbiamo parlato insieme perché non tutti la pensano allo stesso modo.
Per concludere utilizziamo una frase della nostra compagna Emily, che ha detto: “Le parole possono fare più male della violenza”. Ma a volte la realtà può essere più complicata, e molto più dura.
I ragazzi della III B
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