Ieri alla scuola popolare di Garbatella ho letto La ragazza di Bube di Carlo Cassola. C’erano quindici ragazzi, tra gli undici e i quindici anni, molto diversi tra loro. Anche due ragazze rom in custodia cautelare. Erano accanto a me e le sentivo ridacchiare, giocare con il telefonino, annuire, bisbigliare. Insomma, a modo loro, partecipavano. E così tutti gli altri, con l’attenzione a intermittenza, come sempre a quell’età, sono riusciti a raccogliere il filo di una trama, ad ascoltarmi leggere e parlare per più di un’ora, a rispondere alle mie domande sull’amore, la fedeltà, la guerra, l’omicidio. Impensabile fare la scelta di Mara? I ragazzi si sono divisi, uno ha detto “ma lei gli fatto le corna a Bube…”, un altro “io non partirei mai in guerra, meglio stare a casa”. Sono rimasti colpiti dalla scena in carcere, quando Mara e Bube si ritrovano, separati dalle sbarre. Alla fine pizza e nutella per tutti. Si capiva dal modo di interagire dei ragazzi, dalla loro capacità di ascolto, che dietro c’è qualcuno che li pensa, che li aiuta, che insegna loro come stare insieme in modo creativo e costruttivo. In un contesto del genere, ogni parola trova il suo posto, e può diventare quel seme che porta con il tempo i suoi frutti.
Chiara Mezzalama 21.1.2012